Nicola Boari



“Wakamatsu Koji, Il Piacere della Distruzione”, di Nicola Boari

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"Liberato dalle limitazioni della drammaturgia della vendetta, l'orrore fisiologico di Wakamatsu per il pregiudizio scavalca l'assassinio individuale per approdare all'assassinio e alla carneficina di massa." Così Oshima Nagisa parla di Wakamatsu Koji, regista giapponese, nato nel 1936, la cui ultima fatica, "11/25 The Day Mishima Chose His Own Fate", è appena stata presentata alla sezione Un Certain Regard di Cannes. Dal suo primo film, risalente al 1963, ad oggi, sono più di 100 le pellicole da lui girate, e ancora non si ferma, continuando un'opera di analisi ed accusa del passato recente giapponese che molto ha da dire sul presente. Wakamatsu si impone al cinema con violenza, ed è la violenza, rivoluzionaria e senza speranza, la cifra del suo cinema. Attraverso i pinku eiga, il cinema erotico, Wakamatsu riesce ad uscire dall'illusione estetica per fare film di propaganda armata rivolti al presente, ad una rivoluzione feroce e senza pietà, in cui il desiderio di morte prevale sulla vita. Attraverso il sesso l'eccitazione si trasforma in anelito di morte, esplodendo nella lotta armata il cui unico scopo è la distruzione. Wakamatsu si muove con ferocia nell'underground del Giappone degli anni di piombo, attraversato da avanguardie artistiche e guerriglia urbana, da una volontà rivoluzionaria che coinvolge ogni settore della società e si dimena fra le fauci di un sistema reazionario, il cui passato imperiale e fascista dev'essere ancora affrontato a viso aperto. Fallite le parole e le immagini, Wakamatsu Koji entra nella lotta armata accompagnando il sodale Adachi Masao in Palestina, dove gira un'opera documentaristica sulla guerra del Fronte Popolare Di Liberazione Palestinese affiancato dalla colonna internazionalista delle Armate Rosse Giapponesi. Da allora Adachi ha scelto la lotta armata, mentre Wakamatsu continua ad essere persona non grata in giro per il mondo. Raid continui della polizia ne hanno reso per anni l'attività artistica difficile, ma non ha mai mollato e ha continuato a fare cinema rivoluzionario fino ad oggi. Nel 2010 presenta al Festival di Berlino "Caterpillar", che vale alla sua attrice protagonista il premio come miglior attrice, e che inizia una nuova stagione del suo cinema, volta all'analisi critica del passato giapponese, quello della guerra e dell'Impero, di Mishima Yukio e dell'inutile sacrificio e fallimento di quella stessa gioventù da lui catturata su pellicola nella breve ma eterna stagione di lotta rivoluzionaria.
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